Lo scorso anno abbiamo dato vita a quello che vorremmo far diventare un appuntamento annuale, quasi una tradizione e che vorremmo
rispettare fin tanto ci è possibile: andare a conoscere le montagne del Sud Italia cercando di accoppiarci delle mete turistiche
dei dintorni, fuori dalle solite rotte e se possibile dalla confusione. I quasi vicini monti del Matese con le cime del Miletto e
monte Gallinola hanno aperto le danze, subito sono stati seguiti da una veloce puntata sui monti del Pollino con la salita sulla
vetta principale e soprattutto con quella alla serra di Crispo, la salita alla Serra delle Ciavole ci è stata negata dalla pioggia
e dalle nuvole basse. Quest’anno si ritorna nella bella e austera Basilicata, saliremo sull’isolato monte Alpi.
Il viaggio in questa stagione verso la Basilicata è da solo un momento meraviglioso che riappacifica cuore e testa col mondo; una
volta usciti dall’autostrada dalle parti di Foggia le distese di colline verdi e a tratti calancose accompagnano senza sosta, anche
le tante pale eoliche disseminate ovunque disegnano profili affatto dissonanti, sono parte integrante del paesaggio. Raggiungiamo
la val d’Agri nel primo pomeriggio, e da questa piatta striscia di terra abbiamo i primi contatti con le montagne più alte, avamposti
verso Nord del Pollino; intorno ci sono scorse fino a quel momento basse alture, alcune dolci, altre aride e ripide, altre ancora
rocciose, altre che formano serie di calanchi infiniti, è il paesaggio rupestre dell’Appennino Lucano, intricato e solcato da una
serie infinita di torrenti, i più già a secco e alcuni dal tipico aspetto delle fiumane.
Scendiamo verso Sud e su tutte, sulla destra, si impone la mole da montagna vera, ancora imbiancata pesantemente, del Sirino; davanti
un cupolone largo e spoglio nella parte sommitale deduco sia il monte Raparo che nasconde la nostra meta, insomma stiamo quasi per
arrivare dopo un viaggio di sei ore e mezza ma affatto stancante e noioso.
Il pomeriggio lo passiamo per sistemarci nel B&B e per riposare, nel tardo pomeriggio un giro di ricognizione a Castelsaraceno dove abbiamo
il primo contatto visivo col monte Alpi; nei boschi e nel piccolo circo glaciale con grande sorpresa lo troviamo discretamente innevato,
cosa che non avevo preventivato affatto e che mi coglieva di sorpresa, non avevamo attrezzatura invernale, non rimaneva che contare sulle
temperature alte e sulle creste spoglie, ero convinto non avremo avuto problemi, anzi ne ero certo.
Alloggiamo in un B&B nel territorio di San Chirico Raparo, 12 chilometri da Castelsaraceno, altrettanti per arrivare alle pendici del
monte Alpi, la provinciale fino al pese scorre nel fondo valle del torrente Nocitto, la più classica delle fiumane pietrose, incassato
tra i boschi che salgono ai lati il letto si allarga sempre di più via via che scende verso la val d’Agri; piccoli fiumi, con poca acqua
ma dallo spiccato carattere torrentizio marcato dall’ampiezza del letto e dai non pochi danni erosivi, con annesso ponte parzialmente crollato.
Castelsaraceno è arrampicato a 900 m. di altezza sulle spoglie pendici del monte Raparo, un 1700 che fa ancora parte dell’Appennino Lucano
val d’Agri-Lagonegresese, si affaccia a Sud sul monte Alpi, ultima propaggine a Nord del Pollino, motivo per cui si fregia del titolo altisonante
di paese tra i due parchi. Si superano una serie di tornanti fino ad oltrepassare il paese, lungo la strada che appiana, ormai a qualche
chilometro dal paese, si svolta sulla prima strada che si incontra sulla sinistra nei pressi di una fontanella, tortuosa e asfaltata la strada
raggiunge il rifugio Armizzone, una bella e grande struttura ormai purtroppo abbandonata, si prende a destra del rifugio una stradina che si
fa subito brecciata e con un tortuoso sali e scendi inizia ad inoltrarsi nella boscaglia; facile da percorre anche con una utilitaria dopo
qualche chilometro si arriva ad un ampio parcheggio dove una sbarra vieta di proseguire oltre, si impone immediatamente la vista sul Pollino.
Superata la sbarra e dopo trecento metri di strada brecciata si raggiunge uno slargo, dove sorge il piccolo e bel rifugio Favino, alla sua sinistra
e ben segnalato dai cartelli CAI inizia il sentiero 970 o sentiero delle vette che si inoltra nella bellissima faggeta di bosco Favino, quota 1344m.
Superati un paio di piccoli rigagnoli e qualche tavolo da pic-nic la traccia si fa ampia e marcata, e molto ben segnalata da frequenti segnali
bianco rossi del CAI, se non fosse per la pendenza che si fa presto insistente si potrebbe anche spegnere il cervello, lasciarsi andare e farsi
rapire dalla bellezza della faggeta, pulita e fitta di tanti alti faggi incolonnati come un giovane esercito. La segnaletica è anche troppo fitta,
in pochissime occasioni da un segnale non si scorge il successivo, quando accade è perché l’albero dove era stata posta la bandierina è crollato.
Si guadagna facilmente quota, intorno ai 1600m. compare la neve e dalle chiazze sparse ben presto ci troviamo senza possibilità di scelta a doverci
scavare la traccia; per fortuna è neve bagnata, neve sporca e molle, non ci sono difficoltà ad avanzare anche nei lunghi traversi che anticipano la
cresta. Gli ultimi centocinquanta metri prima della cresta la pendenza aumenta progressivamente, lo spessore del manto nevoso pure, qualche volta ci
sprofondiamo dentro, nei pressi di rocce invisibili o passando accanto a qualche grosso faggio; gli ultimi due o tre traversi sono molto appoggiati
ad attenuare la pendenza, dobbiamo farci ancora più guardinghi perché nonostante la neve bagnata una scivolata o un piccolo distacco sarebbero provvidi
di un incontro ravvicinato col faggio più vicino. Uscire dallo strato innevato per guadagnare gli ultimi metri della cresta è stato difficile, nei
pressi di un salto del terreno la neve marcia e distaccata non dava continuità, ci si sfondava dentro e non si riusciva a trovare un appiglio sicuro per
salire sul terreno, per giunta formato da falasco bagnato e scivoloso come una saponetta; un pò di qua e un po’ di la alla fine troviamo il varco, i
primi passi circospetti su un terreno ripido e scivoloso ma ben presto si guadagna la roccia e si sbuca in cresta (1,30 ore) su una larga sella poco
lontana da Punta Corvo (1742m.). L’affaccio è sull’alta valle del Sinni, sull’invaso artificiale del lago di Cagliandrino e sui ruvidi monti Zaccagna
(1580m.) e La Spina (1652m.) oltre i quali scorre l’autostrada del sole e lentamente l’Appennino si abbassa verso il Cilento fino al vicino mar Tirreno.
In direzione Nord si alza ripida cresta verso la prima delle due vette gemelle che formano il monte Alpi; ampia, sassosa, ma sfuggente ai lati, salendo
e guardandosi indietro si scopre la vista sulle cime innevate del Pollino, molto evidenti la Serra del Prete, il Pollino e il Dolcedorme oltre le due Serre
spostate ad Est rispetto al gruppo montuoso. A nord si impone l’arsa e spanciata rotondità del monte Raparo in cui spicca alle sue pendici Castelsaraceno.
Non rimane che seguire il filo della dorsale, in cresta omini e rade bandierine segnano la traccia, i circa duecento metri che ci dividono da Punta Santa
Croce si salgono agevolmente, un modesto omino sul quale si erge una piccola croce ci accoglie in vetta (+ 50 min.). I panorami si allungano ora anche ad
Ovest dove si percepisce chiaramente il golfo di Maratea e a Nord-Ovest dove spicca la dorsale ancora innevata nelle quote sommitali del Sirino (2005m.);
naturalmente nemmeno un chilometro più ad Ovest la vetta gemella di Pizzo Falcone (1900m.), gemella di Punta Santa Croce, di sette metri più alta e cima del monte Alpi.
Un panorama tutto intorno, valli e montagne che dobbiamo riconoscere dalle carte e dalle informazioni che abbiamo recuperato, è sempre bello andare a conoscere
nuovi pezzi di Appennino. Come detto la cima di Pizzo Falcone dista circa un chilometro, è il tratto di escursione più entusiasmante e divertente; la cresta
continua verso Nord-Ovest più o meno in piano per diverse centinaia di metri, alcuni tratti più sottile ma sempre agevole, ai lati i crinali scivolano via
ripidi e sassosi, verso Nord l’affaccio è sul piccolo anfiteatro ancora completamente innevato; poi la linea di cresta vira decisamente ad Ovest e scende
repentina perdendo un centinaio di metri di dislivello fino alla erbosa sella sottostante. Si riprende a salire quasi subito tagliando il pendio fino a
raggiungere di nuovo la linea di cresta, da lontano sembrava affilatissima, una volta sopra come in precedenza la traccia è sicura e ampia. In alcuni tratti
dal versante Nord la neve raggiunge il filo di cresta ma non rappresenta un ostacolo, la salita è veloce e raggiungiamo i 1900m. del monte Alpi (+35 min.)
agevolmente. La vista è la stessa della montagna gemella ovviamente, il golfo di Maratea e il Sirino sono più vicini, molto bella è la vista invece verso Sud,
che oltre l’imbiancato Pollino raccoglie tutto il profilo del monte Alpi, una sorta di grossa e brulla zolla di calcare cretacico che si allunga a formare una
breve dorsale sinuosa, dalla caratteristica forma cuneiforme che sfugge ai lati e che emerge in modo brusco dai terreni che lo circondano. Molto evidente, più
larga e lunga l’alta valle del Sinni, il lago di Cagliandrino e il paese di Latronico che sorge sul lato Sud del monte. Castelsaraceno a Nord, Latronico a Sud,
i due borghi che fanno da guardia al monte si riescono a vedere contemporaneamente, una bella immagine anche questa. Dal Pizzo Falcone si infilano le tre cime
del monte Alpi e tutta la sottile linea di cresta che abbiamo percorso, davvero una bellissima anche se piccola montagna.
Il rientro, mentre una leggera coltre di nebbia alta va offuscando lentamente tutti gli orizzonti intorno, è per la stessa via dell’andata; risostiamo su Punta
Santa Croce dove abbiamo un bellissimo incontro con tre ragazzi di Bari, amanti della montagna e carichi dello spirito più bello e sembra anche giusto della gioventù.
Per comodità, raggiunta la sella prima di Punta Corvo, ricerchiamo le nostre tracce sulla neve che ci riconducono facilmente al sentiero principale; come all’andata
la segnaletica non fa mancare i riferimenti per una discesa veloce e sicura. Raggiungere il rifugio Favino (+2,30 ore), una volta superati i tratti scoscesi innevati,
è poco più di una passeggiata, il tempo è volato e questa piccola montagna ci ha regalato una bellissima giornata davvero. Al ritorno ci fermiamo a Castelsaraceno,
raggiungiamo il famoso ponte tibetano che sorge su una valle alle spalle del paese e che lo unisce alle pendici del ripido monte Raparo che si alza sul versante opposto;
si fregia del titolo di essere il più lungo del mondo (586 m. la lunghezza, 80 i metri di altezza). Non avevamo velleità di percorrerlo, ci è sembrato più che altro una
attrazione da parco giochi, necessario e utile per creare attrattiva per questi paesi isolati della Lucania ma che non poteva aggiungere altro alla nostra giornata;
avevamo puntato un punto ristoro che sorgeva li vicino che abbiamo usato per placare quel po’ di fame che inevitabilmente una escursione in montagna ti lascia in eredità.